Pensieri

TABULA RASA

Autore : EmmeA

16/10/2014 12:09:39

 

Due domeniche fa sono stato tra i visitatori di alcuni dei luoghi inclusi nel circuito de “La città sotto la città”.

Di particolare interesse, per chi – come me – conosceva già gli altri siti, si è rivelata la tappa al Museo Archeologico, dove era stato allestito un suggestivo itinerario tematico intitolato “Immaginando città”. Durante il percorso, al pubblico si offriva il retaggio delle più floride e influenti città campane dell’antichità, attraverso una coinvolgente ed originale esperienza tattile, ottica ed uditiva.

A circa metà del tragitto compariva la cosiddetta “Tabula Capuana”, una tavoletta in terracotta datata al V secolo a.C., contenente uno scritto in lingua etrusca, probabilmente un calendario rituale.

Le iscrizioni etrusche sopravvissute ai giorni nostri, specie di tipo epigrafico, non sono rarissime, ma presentano quasi sempre due caratteristiche: sono assai brevi e riportano spesso soltanto nomi di persone o di divinità. La Tegola di Capua, al contrario, racchiude un numero di grafemi considerevole, e costituisce la seconda più lunga iscrizione al mondo in lingua etrusca. Il pregio di un reperto simile, sia in via autonoma che comparativa, è quindi altissimo per gli interpreti, anche alla luce del fatto che il testo è tuttora in gran parte indecifrato.

Rinvenuta poco più di un secolo fa nel sottosuolo di Santa Maria Capua Vetere, si potrebbe facilmente pensare che la “Tabula” sia esposta nella stessa città. Invece no. Quella mostrata nel Museo Archeologico era una grossolana copia moderna, perché l’originale staziona presso gli Staatliche Museen di Berlino. Proprio così: un oggetto ritrovato in Campania viene conservato in Germania, a circa millesettecento chilometri di distanza.

Tale sistemazione – di cui peraltro già sapevo – mi ha sempre sbalordito. Non so quale sia la prassi museale, ma da privato ritengo lontano dal buon senso che quanto rinvenuto in un determinato territorio sia esposto definitivamente in tutt’altro luogo. Ciò è tanto più vero quando esiste, come nel nostro caso, una struttura espositiva nella stessa città in cui il reperto è emerso, soprattutto se essa già ospita oggetti coevi o comunque appartenuti alla stessa civiltà.

Mosso proprio da quello stupore e da quel disappunto, nel corso della visita di cui dicevo poc’anzi, non sono riuscito a trattenere una riflessione a voce alta sull’irrazionalità della condizione della “Tabula”. È stato allora che alla mia sorpresa se ne è aggiunta altra, ancor più amara: una donna lì presente ha replicato alle mie parole sostenendo fosse preferibile «che la tengono loro (i tedeschi), perché di sicuro la conservano meglio». Ho la certezza categorica che è anche a causa di persone del genere che il patrimonio culturale di questa città versa nel suo stato attuale, e che la ripresa è così tarda e faticosa.

 

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